Una volta sono stato descritto a terzi come “quello che convive”, cosa che mi ha colpito molto. Capisco che il concetto di convivenza si porti dietro un alone di importanza, di gravità, forse anche un recondito senso di trasgressione che in qualche modo è entrato nel subconscio collettivo a forza di condanne papali.
Tuttavia la transizione dalla vita di studente attaccato al computer che a volte si scorda di fare cena, alla vita da semi-sposato che dopo cena si attacca al computer, è stata per me estremamente naturale. Certo, situazioni di tensione ci sono state — ma curiosamente sono arrivate da dove meno me le aspettavo. Per esempio dal cibo.
Ora, sia io che Elisa siamo persone di bocca buona, piuttosto curiosi, ci piace anche la cucina etnica, per dire — in soldoni, per una sera, possiamo mangiare di tutto senza problemi.
Quando però ti trovi di fronte alla prospettiva di decidere non un pasto ma un’intera dieta, il discorso cambia. Ogni decisione ha il sapore di una sentenza definitiva, e all’improvviso una cosa come la presenza o assenza del sedano nel frigorifero diventa una questione di difesa della propria identità.
In effetti in una situazione come questa ti rendi conto di quanto le piccole cose quotidiane che hai fatto fin da piccolo e che hai visto fare per anni e anni ai tuoi genitori ti siano entrate nelle vene come una sorta di religione.
Ogni differenza diventa allora non buffa evidenza della varietà dell’esperienza umana, ma motivo di scandalo: “Ma come, non usi il sale grosso?!” “Ma come, sali anche il sugo?!” “Ma quanta acqua metti?!” “Questa pasta è troppo al dente!” “Il soffritto non si fa così!” “Non stiamo mangiando troppi salumi?!” “Perché mangi secondo e contorno separatamente?!”
A volte uno dei due, seduto nella semioscurità, scuotendo il capo con aria grave si è chiesto cose tipo: “Come può essere la persona giusta per me una a cui non piacciono i pomodori nell’insalata?”
Il processo di pace è stato lungo e laborioso. Abbiamo dovuto partire dai nostri punti di contatto, giurando fedeltà alla pasta De Cecco e all’olio extravergine di oliva italiano. Da lì abbiamo ricostruito tutto il resto, imparando anche ad ampliare i nostri orizzonti: “Hai ragione, un po’ di panna si può usare a volte!” “E lo stracchino, in effetti, non è male!”
Restano, è vero, alcune divergenze incolmabili (come “Ti prego, quei peperoncini ripieni puoi mangiarli di spalle?” o “Come si fa a pasteggiare col tè freddo?!”), ma vengono archiviate alla voce “piccole stramberie”. E saper ignorare queste ultime è una cosa che si impara a fare subito, nella convivenza.