Quel sabato ero uscito di casa pregustandomi lunghe passeggiate esplorative, approfittando dell’incombenza di dover andare a pagare l’affitto. Prima di uscire mi ero anche studiato bene la Timeout Cheap Eats Guide per non farmi trovare impreparato di fronte ai morsi della fame.
Purtroppo però mi trovai impreparato di fronte ai morsi del freddo. Un inatteso vento forte e gelido si era levato col chiaro intento di farmi tornare a casa a suon di raffiche. Strada facendo, però, mi ero ricordato di essere vicino ad un posto di cui la guida parlava bene dicendo fra l’altro che preparava pasti veloci ma caldi: proprio quello che ci voleva.
Non sapevo, però, che la tavola calda di Paul Rothe & Son era il risultato di una profonda anomalia spazio-temporale.
L’insegna dipinta a mano, che fieramente vanta una gestione lunga quattro generazioni; la deliziosa pacatezza della dicitura “English & Foreign Provisions”; la freccia artigianale che indica la presenza di “HOT SOUP”; il richiamo alle “over 14 varieties of tea”; le pile e pile di marmellate e confetture che quasi rendono impossibile vedere dentro… tutto questo già buttava decisamente bene.
L’interno, poi, non deludeva certo le aspettative. Il locale, piuttosto piccolo, per due lati aveva le pareti interamente ricoperte da barattoli di miele e marmellata. Da un’altra parte, c’era un grande bancone da alimentari, con formaggi, salumi e verdure. Alle spalle del bancone, un’interminabile menù scritto fitto fitto a mano con sapiente alternanza di pennarello rosso e nero, indicava tutti i possibili pasti ordinabili. Il vero capolavoro erano però le file di tavolini di formica, con tanto di seggiolini a scomparsa di pelle imbottita bordeaux, che fanno tanto barbiere di una volta.
Il tocco finale lo davano le persone. Paul Rothe — o uno dei suoi discendenti — stava dietro al bancone in camice bianco, e sarebbe stato perfetto nel ruolo di suddetto barbiere. Da subito mi era parsa una di quelle persone istintivamente simpatiche che, messe dietro un bancone, ti fanno venire voglia di assaggiare tutto quanto. Il figlio, ovvero Paul Rothe Next Generation, aveva maggiormente l’aspetto di un uomo contemporaneo, però sembrava comunque perfettamente a suo agio in questo posto cristallizzatosi in un momento imprecisato del novecento.
Un signore molto somigliante al nonno di Elisa era seduto ad uno dei tavoli a mangiare con una calma che sarebbe stata inimmaginabile fuori dal locale. Anche questo mi ha fatto simpatia. Altri viaggiatori del tempo parlottavano a bassa voce qua e là.
Io, un po’ spaesato, mi sono lasciato facilmente tentare dalla specialità della casa, quel lamb broth di cui vanno palesemente fieri. Poi però non ho resistito e mi sono fatto fare anche un panino dalle sapienti mani del signor Rothe.
Seduto sul mio seggiolino vintage, col piatto e il bicchiere poggiati direttamente sul ripiano di formica, cercavo di mangiare molto lentamente, per rimandare un altro po’ il ritorno al duemila.