Il consumo di carne pone delle questioni etiche non da poco, relative alla sofferenza degli animali e allo spreco di risorse naturali.
Oddio, chi ha avuto la sfortuna di vedermi mangiare carne stenterà a riconoscere dietro quella voracità animalesca — che poco ha a che vedere con la civilizzazione umana in generale — una lacerazione filosofica. Fatto sta che nutro una certa ammirazione nei confronti dei vegetariani.
Fino a poco tempo fa credevo che il vero sforzo di essere vegetariani fosse nella continua attenzione che va rivolta agli ingredienti di ogni cosa. Non basta evitare i piatti con la parola “carne” dentro, devi controllare anche lo snack apparentemente innocuo che ti prendi il pomeriggio alle macchinette.
Ultimamente, invece, mi è capitato di mangiare ogni tanto col mio amico R., vegetariano, e ho capito che la vera difficoltà è il tritamento di maroni che tutti i commensali ritengono doveroso propinare a chi pratica questo stile di vita.
Se uno è un fan di Gigi D’Alessio può tranquillamente nasconderlo e anche far finta di apprezzare altra musica in pubblico. Ne so qualcosa, anche se non relativamente al mitico Gigi.
Se invece sei vegetariano questo tuo aspetto esce fuori per forza durante la cena.
— Ehi, con questo tuo modo di fare ci stai forse accusando di una supposta inferiorità morale?
— Pensi che, a parte il cibo, le cose che usi tutti i giorni siano tutte ottenute senza sofferenze animali?
— Chi ti dice che la carota non soffra ad essere estratta dal terreno?
E così via. Ho notato però che R. ha affinato la sacra arte di non reagire, lasciando che siano gli altri a scannarsi e limitandosi a sorridere di tanto in tanto agli interlocutori con sguardo un po’ assente. Sospetto che nasconda un ipod fra i capelli.
Anche di questo so qualcosa.