Stufo di una vita che comunque, a quanto si ricostruisce qua e là da alcuni sporadici accenni, aveva già avuto i suoi momenti piuttosto inusuali e movimentati, tale Giorgio Bettinelli decide di lasciare tutto: dà in affitto il suo appartamento e con quell’introito mensile va a vivere di rendita in un posto sperduto dell’Indonesia. Non una vita di lusso, beninteso, ma una vita fatta di piaceri semplici, in riva al mare, con nuove amicizie, e via dicendo.
Già questa sarebbe stata una storia affascinante.
Senonché dopo qualche mese, in maniera del tutto fortunosa, gli capita fra le mani una Vespa. Il tempo di farci qualche giretto senza meta e subito la fantasia comincia a galoppare. È un attimo. La sua voglia di fuga dalla quotidianità da statica diventa dinamica. Comincia a immaginarsi un viaggio, lungo, in solitaria, che lo porti, in capo a qualche mese, dall’Italia al Vietnam. Da Roma a Saigon, tutto in Vespa! Torna in Italia, si guarda in giro, cerca sponsor per finanziare l’iniziativa, passa giornate a studiare cartine.
Alla fine parte davvero. Quel primo, pazzesco viaggio lo racconta in In Vespa. Un’esperienza del genere può certamente farti scattare diverse molle dentro, anche — avrei pensato — una sensazione di appagamento. Invece, al contrario, ci prende gusto.
Quelli che descrive in Brum Brum e in Rhapsody in Black sono anni veramente incredibili. Sì, anni — perché dopo il primo ha fatto un altro viaggio, più lungo. Poi un altro, più lungo ancora. Fino a culminare con un vero e proprio giro del mondo, che doveva durare tre anni già solo nei piani iniziali.
Mi sembra quasi di vederlo, molto vividamente, mentre passa le giornate su quello scooter con le ruote minuscole, stracarico di bagagli, a volte in mezzo al nulla. Ovviamente ne passa di cotte e di crude, fra compagni (e soprattutto compagne) di viaggi improvvisati, con cui fare un pezzo di strada insieme e poi dividersi di nuovo, lingue imparate o ricordate, posti inimmaginabili, esperienze sorprendenti — sempre guardati con occhi molto umani, alla ricerca delle persone più che dei luoghi.
Ha rischiato anche molto ovviamente. A volte per cazzate: come quella volta all’arrivo del primo viaggio che si stava per rompere la testa cadendo in bagno, in albergo, o quell’altra che si stava per strozzare con una fetta di prosciutto. Altre volte la faccenda era più grave: come quando stava per morire di malaria, e raggiunse l’ospedale in extremis dopo aver guidato un giorno mezzo delirante, più di là che di qua; e soprattutto come quella volta che è stato rapito da guerriglieri congolesi.
Ogni tanto ci pensavo e mi veniva il terrore che, continuando a viaggiare, alla fine me lo sarei ritrovato in un trafiletto di giornale: “viaggiatore italiano muore stupidamente in culo al mondo”. Il lettore distratto, voltando pagina, avrebbe pensato: beh, se l’è cercata, ignorando del tutto l’incredibile esperienza umana che quella persona si sarebbe portata con sé.
Non è andata così, invece. Bettinelli è morto questa settimana all’improvviso, mentre era a casa in Cina, dove abitava da qualche tempo. Aveva da poco pubblicato l’ultimo libro, La Cina in Vespa, che devo ancora leggere. Pare che sia stata un’infezione, non so. Mi dispiace davvero moltissimo.
Un pensiero mi rincuora un po’. Credo che Bettinelli sia una delle pochissime persone che mi vengano in mente che, se avesse saputo in anticipo la data della propria morte, non avrebbe cambiato una virgola della propria vita.