Mi chiamo Davide V. ed ho un problema.
Ammetterlo è il primo passo per risolverlo.
A dire il vero però oggi va molto meglio. Non molto tempo fa ero ancora fra quelli che conservano la pellicola trasparente sopra lo schermo del cellulare, oltre al fatto che mai l’avrei portato in giro senza una custodia. Poi mi sono fatto violenza, anche grazie al vostro aiuto, e ho smesso.
Oggi guardo quelli che continuano per mesi a coprire la tastiera del portatile nuovo col foglio di plastica che ci trovi sopra quando lo compri, e provo tenerezza: anch’io, un tempo, ero come loro.
I problemi maggiori li ho sempre avuti con la carta. Ho sempre avuto un impulso innato al collezionismo: per me buttare una rivista è sempre stata una sofferenza. Con i periodici l’ho superata abbastanza presto, anche perché le case sono in genere delimitate da muri, il che pone un limite massimo alla quantità di roba che possono contenere. Coi fumetti è stata molto più dura. Senza contare che c’è stato un periodo in cui imbustavo ogni singolo albo che compravo.
Non parliamo dei libri: li adoro quando sono intonsi, freschi di cartiera, con quella costola liscia liscia e le pagine perfettamente compatte. Mi sembra una cosa troppo brutta porre fine a questo stato di perfezione. È per questo che per anni mi sono esposto al pubblico ludibrio sui mezzi di trasporto, fra i passeggeri ogni volta sorpresi di vedermi tirare fuori un libro sempre ben avvolto da una busta di plastica. Che poi a tutt’oggi non capisco cosa ci sia di tanto strano, in quello. Capisco invece che sia piuttosto buffo vedermi leggere a fatica tramite uno spiraglio minuscolo aperto fra le pagine — questo per preservare l’innocenza della succitata costola.
Non si capisce però da chi abbia preso questa mania, visto che i miei genitori sembrano invece provare un piacere sadico nell’avvitare i loro libri dentro la borsa del mare, fra un telo bagnato e una stuoia sabbiosa, fra chiavi, creme aperte e bottiglie dell’acqua fradicie, arrotolati a cono con tanto di orecchia alla pagina per tenere il segno e matitone infilato in mezzo per sicurezza.
La cosa più bella però è quando un oggetto è sufficientemente vecchio e usurato da farmi superare qualsiasi remora. Solo in quel momento mi sembra veramente di averlo. Come la macchina fotografica: il primo anno che ce l’avevo l’avrei lasciata volentieri a casa pur di non esporla a nessun tipo di rischio. Adesso, libera da custodie, fiera dei suoi graffi, la porto in tasca nuda e cruda.