Il blogghetto dello zio _dave_

Flat tales / 3

Immaginate la scena al rallentatore: l’agente immobiliare, di fronte a noi, apre pian piano la porta. A poco a poco, il vano abitativo comincia a svelarsi. Nebulosamente intravediamo superfici che sanno di nuovo, di pulito. Sui nostri volti stanchi comincia a dipingersi un sentimento ormai affievolitosi: la speranza. Sentiamo quasi in lontananza una musica di violini che comincia ad alzarsi, per celebrare il momento — forse abbiamo finalmente trovato casa?

Ma — tac! — la porta si blocca. Non si apre più. Non si spalanca a mostrarci il resto dell’appartamento, e per un semplice motivo. È tutto lì. Fine.

Entriamo impietriti. Il monolocale è presto descritto: una stanza stretta leggermente allungata, che per la prima metà ha un soppalco che ospita un letto. Più che un letto lo chiamerei un materasso poggiato per terra, e credo che alzando un braccio da disteso toccherei agevolmente il soffitto. C’è un angolo cottura, una poltrona, una tv incastrata sotto le scalette del soppalco. Il bagno è una cabina in cui penso che una persona leggermente sovrappeso farebbe fatica a entrare. Il cesso è di quelli mignon, accorciàti. Il lavandino sembra uno scherzo — uno scherzo peraltro molto in voga da queste parti.

L’agente ci mostrerà poi qualche altro appartamento leggermente più grande, ma più li guardiamo e più ci rendiamo conto che sono basati tutti sullo stesso meccanismo. Veniamo a sapere infatti che l’agenzia è direttamente proprietaria degli immobili: compra decine di villette, poi le sventra e ne ricava dieci, venti micro-appartamenti in ognuna. Grazie alle economie di scala, può permettersi di arredarle in maniera gradevole, rinnovarle in blocco appena un inquilino lascia, e via dicendo. Per chi conosce lo stato in cui ti vengono in genere presentate le case a Londra, queste sembrano un paradiso.

Poi però, ad una seconda occhiata, ti accorgi che non sono solo piccole, ma sono proprio pensate male — come se dovessero impressionare a prima vista affittuari frettolosi, e non veramente soddisfare le loro esigenze abitative. Fumo senza arrosto. Non ci sono armadi, per dire, né c’è posto dove metterne uno di fortuna: un dettaglio in grado di mettere in ginocchio anche chi fashion victim non è. Non c’è un tavolo — e sì che sembrano rivolgersi prevalentemente a studenti. Il frigorifero sembra un giocattolo, il lavandino della cucina magari si trova nell’angolo — comodo!

Ultima chicca, la lavatrice. Dov’è? Non vi preoccupate, c’è. Sì ma dove? Semplice, è nel basement. Su nostra insistenza ci viene alla fine mostrata, chiusa in uno sgabuzzino, una normale lavatrice, pronta a soddisfare i bisogni di un’intera casa… convertita in condominio.

(continua)