Il blogghetto dello zio _dave_

La nascita del caffè rosso

Con la sorpresa tipica dell’italiano abituato ad una concezione puramente artigianale della ristorazione, ho scoperto che possono esistere catene di ristoranti che — invece di farti sentire parte di una catena di montaggio alimentare — riescono ad offrire cibo tutto sommato dignitoso in un’atmosfera piacevole.

Uno di questi posti è la catena di bistrot francesizzanti Café Rouge, con i suoi locali inevitabilmente tappezzati di Chat Noir, con decine di piccole lampade che fanno molto “locale raccolto” e coi muri pieni di stencil e di occasionali scritte che riportano motti o massime innocue per rinfrancar lo spirito fra una portata e l’altra. Quando sei fuori dalle tue zone e ti assale quell’improvvisa voglia di croque madame, quelle vetrofanie dorate fra gli infissi rossi appaiono in genere come un miraggio all’orizzonte.

Ho assistito negli ultimi tempi alla nascita di una nuova filiale vicino alla metro di Leicester Square. Di mattina in mattina, ho visto gli operai prima intonacare, poi installare un bancone, poi mettere i vetri con lo scotch sopra messo a X, e via dicendo. Poi è stata la volta dell’insegna, poi delle già citate scritte sul vetro.

Poi un giorno, all’improvviso, il posto era sbocciato come un fiore. Il grigiore del cantiere non c’era più — sulle pareti ora giallo paglierino erano arrivate le lampade, si erano accasati gli chat noir, erano comparse le scritte… Ma erano stati sempre loro, gli operai, a metterceli.

Confesso che ci sono rimasto un po’ male. Certo, lo sai bene che sono arredati tutti allo stesso modo, che i poster comunque ti arrivano dalla sede centrale, che le lampade sono state comprate all’ingrosso e riposano in un enorme hangar in qualche area industriale, pronte a partire verso la prossima apertura di filiale a bordo di tir polverosi e per nulla bohémienne. Ma immaginavo lo stesso che ci fosse un po’ di margine di manovra, che il caponegozio potesse decidere se il poster tale piazzarlo lì e se il paralume metterlo in un modo o nell’altro.

Il giorno dopo, seduti sparsi per il locale come una scolaresca in gita, il plotone dei nuovi camerieri, in borghese, ascoltava le direzioni del caposala. Attraverso il vetro ho percepito un pochino, nonostante la prospettiva decisamente diversa, quell’eccitazione tipica del primo giorno di scuola.

Il giorno dopo ancora, i camerieri erano vestiti di tutto punto e già all’opera, mentre ai tavoli erano già seduti gli ultimi tasselli del mosaico: i clienti. E per un attimo anche loro mi sono sembrati messi lì dagli operai.