La stand-up comedy mi ha sempre incuriosito e affascinato. Per certi versi è l’essenza dell’intrattenimento: una persona, da sola, armata soltanto di voce, mimica e gestualità, deve far ridere un pubblico con cui è a stretto contatto e che non gli perdonerà fallimenti.
Non sono un esperto ma, a differenza che da noi, questa tradizione mi sembra molto importante nei paesi anglosassoni. Tanti attori e autori famosi, come Woody Allen, Steve Martin o Billy Crystal, si sono fatti le ossa da stand-up comedians.
Da noi, direi, si tende maggiormente allo sketch, cioè ad una riduzione del concetto di commedia vero e proprio, spesso con una spalla al fianco, con costumi e scenografie. Anche Zelig, che pure è uno spin-off di un vero comedy club, presenta per lo più un cabaret dove anche i comici singoli tendono a interpretare veri e propri personaggi — per non parlare del concetto di tormentone che ovviamente ha senso solo in televisione e non in un vero locale dove difficilmente rivedi lo stesso comico nell’arco di poco tempo.
Comunque: nell’ambito del weekend italo-gallese, Jon mi ha portato al comedy club Up The Creek, a Greenwitch. La domenica sera c’è il Sunday Special, cioè una serata che è un po’ come l’uovo di Pasqua: spendi poco (5£) e sai che avrai quattro comici di cui almeno due piuttosto famosi ma in pratica non sai chi.
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La prima volta Jon aveva avuto la soffiata che ci sarebbe stato Stephen Merchant. Onestamente non sapevo chi fosse, ma a giudicare dalla lista di premi che ha vinto è davvero un pezzo grosso. Ma anche gli altri non erano affatto male.
Arnab Chanda, mio coetaneo, mi ha fatto riflettere su quanto possono differire i percorsi di due persone. Ho poi letto sul suo sito alcuni suoi pensieri sulla vita da stand up: puoi svegliarti tardi tutti i giorni, ma alla centesima volta che dici la stessa battuta ti viene da vomitare. Ogni lavoro ha le sue parti noiose da mandare giù.
Tony Law invece, col suo umorismo surreale — parte del numero spiegava come mettere su un combattimento fra uno squalo ed un orso — mi ha fatto invece pensare al fatto che le vie della risata sono, se non infinite, quantomeno molto imprevedibili.
In generale — e qui potrei tirare in ballo Andy Zaltzman e Nick Doody, che ho visto la volta successiva — mi sono sentito rinvigorito da numeri che non hanno paura di tirare in ballo attualità, politica e religione senza l’oppressione del politically correct. Anzi mi rendo conto che è il pubblico, me compreso, a non essere abituato, e ride con una punta di riserva.
Inoltre sono rimasto colpito anche dal fatto che quasi tutti i comici puntano su una risata piuttosto intelligente, laddove mi aspettavo più che altro aneddotica e battute a sfondo sessuale, più facili.
Interessante notare come l’età media del pubblico sia sul 20 basso, immagino attratta dal prezzo stracciato. Un’atmosfera molto gradevole. Fra un numero e l’altro, la gente va a farsi una pinta di birra al bar, e poi si ricomincia.