E quindi, volge al termine la mia prima settimana a Londra. Come accennavo la volta scorsa, infatti, ho appena cominciato il famoso “periodo all’estero” che molti dottorati prevedono al terzo anno. Lavorerò per sei mesi alla UCL sotto la supervisione di un giovane professore assai figo.
Certo, Londra è ormai talmente facile da raggiungere ed è così piena di italiani che viene quasi il dubbio se sia lecito chiamarla “estero”. Comunque non temete: che qui ci siano gli autobus a due piani, i taxi neri e le cabine del telefono rosse immagino che lo sappiate già, quindi vedrò di trovare altre cose da raccontare.
Intanto non tutti sanno, giacché i libri di storia omettono spesso di segnalarlo, che quando ero piccolo ho vissuto un anno a Londra, per via di una borsa di studio che mia madre aveva vinto. Ho un bellissimo, seppur vago, ricordo di quell’anno, e ho sempre pensato che mi abbia segnato in profondità; sicuramente mi ha lasciato addosso alcune fisse come quella per i treni o per la cucina cinese.
Pare che all’asilo dove andavo si siano dimenticati di appendere la targa che ricorda il mio passaggio: pazienza. La mia testa, in compenso, di targhe ne ha a bizzeffe. Questo posto mi è familiare, lo sento mio anche se lo devo riscoprire da capo. Paradossalmente, è quasi un ritorno a casa.