Le scene più surreali si sono viste quando sono andato ad Aldgate.
Per cominciare, uscito dalla metropolitana, vengo accolto da questo scenario apocalittico:
Notare il cartello che chiarisce: it’s not the end of the world. Meno male, questo mi rassicura!
Giro a lungo prima di trovare il posto. Già al telefono avevo capito che si trattava di un’agenzia, ma per farmi un’idea avevo deciso di andare lo stesso.
Da fuori il piccolo edificio non lascia intravedere alcun segno di vita. Entro e, dopo una rampa di scale a chiocciola, mi ritrovo in una stanza dove una decina di persone, quasi tutte con indosso il giaccone da esterno, stanno sedute attorno a dei lunghi tavoloni, chine sui loro portatili. Sembrerebbe un malinconico Internet Café dall’impronta fortemente cyberpunk, non fosse per alcune antipatiche “regole per inquilini” scritte a mano su una lavagna.
Mi accoglie un elegante trentenne dai tratti estremo-orientali che parla con accento marcato e difficile da comprendere. L’appartamento per cui avevo chiamato non è più disponibile, ma si offre di farmene vedere altri. Più per curiosità che per altro, decido di seguirlo.
Scendiamo e a grandi falcate raggiungiamo uno scalcinato parcheggio dove ci viene consegnata una macchina inaspettatamente di gran lusso: una berlina verde metallizzato con interni in pelle.
Ogni volta il copione è sempre lo stesso: la zona sembra carina, poi la macchina svolta all’improvviso e ci troviamo al cospetto di un condominio decrepito: si tratta di ex-council houses, cioè case popolari ora riconvertite. Anche l’architettura è sempre la stessa: palazzi dai sei ai dieci piani, ognuno con un ballatoio esterno per accedere ai vari appartamenti, tutti composti più o meno da tre stanzette, una cucina e un piccolo bagno.
Oltre a essere poco ameni gli edifici, gli appartamenti non brillano quanto a manutenzione. Entrando nel primo, svegliamo un inquilino — questo a metà pomeriggio. In un altro, per entrare dobbiamo scavalcare un cumulo di sacchi della spazzatura; la casa risulta essere occupata da ben quattro ragazze che sfatano una volta per tutte il mito secondo cui “le donne tengono pulita la casa”. L’agente immobiliare mi dice che se ci tengo alla pulizia si possono organizzare dei turni dei quali io sarei garante.
(Prima che ve ne usciate con l’equazione “inglesi = sporchi”: queste case erano abitate da persone di tutto il mondo, anche italiani.)
Dopo il terzo viewing ringrazio il tipo e me ne vado quasi divertito dal susseguirsi di contrasti e scene improbabili cui avevo assistito. Mi viene da ridere anche pensando alla faccia che avrebbe fatto Elisa qualora l’avessi portata, tutto entusiasta, in uno di quegli appartamenti: “Vieni, vieni, non vedo l’ora di farti vedere la mia casina!”
(continua)